* Nel bel mezzo dell’inverno, ho scoperto che vi era in me un’invincibile estate* Imbolc e altre storie

Mary L. Macomber, Night and her Daughter Sleep  

Del dolore riesco a scrivere poco,scrivo molto, scrivo ovunque e su ogni tipo di superficie, tranne sulle cicatrici, tranne delle ferite. Riflettevo che per me il dolore è una questione privata, non so scriverne ma neanche parlarne. Racconto molte storie ma quasi mai racconto il dolore. Il mio "inverno" è silenzioso, come non conoscesse il modo giusto per essere raccontato.
Oggi ci provo, vi racconto un giorno di duro e freddo e agghiacciante inverno e di come una goccia di estate era lì, ricca e luminosa e meravigliosamente sempre presente.
Ospedale Santo Spirito, un taglio netto e profondo, nel luogo più delicato, più sensibile, più dolce che un corpo femminile possiede. Era stato necessario farlo, immediatamente e senza possibilità di anestesia, il corpo tremava per il dolore, gli occhi appannati, la mente confusa, freddo, gelo, che paralizzava ogni possibilità di controllo.
C'era gente, ed io volevo solo urlare, urlare forte e piangere, e singhiozzare tutto quel male, forte male, incontenibile male.
Una panchina per aspettare un caffè, la panchina era deserta, nessuno vicino all'ingresso, potevo piegarmi su me stessa e non trattenere più le lacrime.
Un secondo dopo, mentre urlavo dentro, mentre la mente era concentrata solo a fuggire da quella morsa di gelo, una carezza sulla schiena piegata, tanti occhi intorno a me, un gruppo di donne, anziane ma anche giovanissime  erano arrivate.
Avrei voluto chiedere spiegazioni, chi erano? ma non avevo voce, era tutta dentro che gridava.
Una vecchia, vecchissima, con il rossetto rosso e il bastone d'argento mi ha chiesto che succedeva, se avevo bisogno di qualcosa, la sua voce non era così anziana come il suo aspetto.
Ho tentato di spiegare che era successo, mi hanno chiamata bambina, mi hanno abbracciata, consolata, mi hanno chiesto di piangere e fatto cerchio intorno a me.
Nessuno poteva vedermi, nessuno avrebbe infranto il cerchio.
La più giovane non ha parlato, era tutta occhi, occhi grandi, occhi enormi e mi sosteneva con uno sguardo di fuoco.
Il dolore m'è sgorgato dalla gola, l'ho vomitato su quel pavimento antico, l'ho lasciato scorrere, non l'ho più trattenuto, ho urlato con tutto il fiato che avevo in gola, nessuno mi sentiva e loro erano intorno a me, strette, una barricata, un rifugio, un luogo protetto.
E' arrivato il caffè e il cerchio s'è appena allargato, la donna con il bastone d'argento sorridendo mi ha suggerito di correggere il caffè con un goccettino di cognac, abbiamo riso tutte insieme, tutte mi hanno sollevato e subito dopo non c'erano più.
L'uomo del caffè era basito, non si preoccupava più di vedermi svenire ma di come in pochi minuti intorno a me si fosse radunato un intero esercito di donne.
Ho sorriso, ho ringraziato, ho guardato negli occhi il dolore e la paura, non sono mai stata sola, non è mai stato solo inverno, il cuore palpitante e invincibile dell'estate è sempre presente, sempre pronto a splendere.
E' Imbolc, la Candelora, fra poche ore, ed io provo a scrivere per la prima volta di come non esiste ghiaccio e freddo che non possieda dentro il fuoco potente e germinativo della primavera.

Emanuela Pacifici
* la cit nel titolo è di Albert Camus

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